“L’educazione all’autonomia la intendiamo così”

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Pubblicato il 15-09-2023

Radunare un gruppo di ragazzini con età inferiore ai sedici anni per passare un paio di settimane insieme in montagna. “Grande idea!”, sentiamo già ironizzare da parte dei soliti soloni, “lo fanno in tanti. Sarà mica originale!”. E invece sì: diciamo che è originale. Ovvio, non è originale il fatto che si raggruppino ragazzi per le vacanze estive. Mentre scriviamo il ricordo corre come il vento ai nostri anni giovanili, quando allievi dell’istituto Configliachi di Padova, ma anche di molti altri istituti italiani per ciechi, venivano ospitati per tre turni nella colonia di Asiago. E si ricreava esattamente lo stile dell’istituto: la suora che ci portava a camminare lungo le strade e i viottoli di montagna, che ci raccontava le storie o ci leggeva i romanzi, seduti per terra su un tappeto di aghi di pino, i giochi con i coetanei. Esattamente come in istituto, con la differenza che accanto ai tuoi compagni del resto dell’anno avevi quelli provenienti da altre città e da altre esperienze. Fine del ricordo personale e ritorno ai giorni nostri. Erano nostri anche quelli precedenti, ma si sono dissolti con il vento del tempo che soffia via tutto. Ai giorni nostri di oggi fioriscono i soggiorni estivi, con più di un vulnus, se ci è concesso: o ricreano le condizioni dell’istituto (anche se l’istituto non c’è più) o comunque sono (ci scusiamo per il termine) socio-assistenziali. Tradotto: i ragazzi vengono seguiti passo passo in un rapporto che non definiamo asfissiante per non apparire catastrofici, ma in un certo modo ossessivo, ritmato da operatori ed assistenti vari. Simili soggiorni un vantaggio lo hanno di sicuro: sono rassicuranti per i genitori, che sono protettivi ed apprensivi nei confronti delle loro creature. I soggiorni che piacciono a noi sono più liberi: lasciano molto all’autogestione, che significa autonomia, ossia ciò che dovrebbe rappresentare l’imperativo categorico di un disabile. Il caso Fondazione Lucia Guderzo è emblematico: non lo diciamo per interesse di bottega, ma perché i risultati sono lì a dimostrare che quella è la strada giusta da percorrere. Dodici ragazzini, sei maschi e sei femmine, hanno passato un paio di settimane sulle montagne del Tesino, al confine fra Trentino e Bellunese. Attenzione: dodici ragazzini normali. No, non abbiamo la puzza al naso se crediamo che un soggiorno che punta sulla ricerca dell’autonomia non possa ospitare persone con disabilità aggiuntive. Siamo convinti che (fuori dai disastri del politicamente corretto) si debbano perseguire obiettivi precisi. E’ scorretto pensare che un pluriminorato non possa condividere un progetto con un ragazzo che di deficit ha solo la vista? E’ scorretto pensare che disabili con il solo deficit della vista e loro coetanei con disabilità aggiuntive sono attori che devono recitare su palcoscenici diversi, perché se stessero insieme si danneggerebbero a vicenda? Venendo al soggiorno della Fondazione Guderzo, assistenza ridotta all’osso: una coordinatrice (encomiabile, sempre presente Daisy), un operatore (Riccardo) e poi tanti ospiti con cui dialogare, a cui chiedere informazioni, consigli e opinioni. Professionisti di vari settori, ma anche ospiti che conducono una vita lavorativa normale pur avendo un deficit visivo. Autogestione non significa lasciare al caso o alla buona volontà il programma: significa ragionare insieme sul da farsi, ma anche sui comportamenti collettivi ed individuali. Non per niente c’è il “filò” serale, in cui si conversa, si programma, si discute sulla giornata passata e, perché no?, si tira fuori quel che si deve tirare fuori, critiche e rimproveri compresi, se serve. Il soggiorno con obiettivo l’autonomia diventa un luogo di confronto anche sulle piccole (ma poi sono tanto piccole?) questioni quotidiane: tagliare le patate e i pomodori, separare l’albume dal tuorlo in un uovo (per rimanere sul collettivo), allacciarsi le scarpe (per entrare nel personale), intrattenere relazioni interpersonali (per scivolare nell’intimo). Insomma, qui c’è la vita vera di una piccola comunità. Soggiorno concluso con un concertino di piano e flauto, ma soprattutto con un dibattito fra i partecipanti, sereno e maturo, di ragazzi che hanno preso coscienza della loro situazione e che (bisogna dirlo, non era scontato) desiderano prenotarsi bell’e subito per la prossima estate.

di Giuliano Beltrami – Giornalista del quotidiano “L’Adige” di Trento

 

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