Gli echi della coscienza
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Pubblicato il 21-02-2019
La mia generazione ha delle grandi colpe: la colpa di aver ricevuto di più di quello che ha dato, la colpa di essersi fatta prendere dai protagonismi piuttosto che di lavorare sodo, la colpa di aver scimmiottato i comportamenti sbagliati della politica consumando tutto il credito di benessere che avevamo a disposizione, senza lasciare più nulla alle nuove generazioni e la colpa infine di celebrare il braille, anziché di praticarlo.
E’ davvero sconsolante che in questi giorni, qua e la per l’Italia, si svolgono convegni e seminari in cui si parla quasi a vanvera del braille mentre, ai nostri ragazzini ciechi nessuno lo insegna; anzi, quel che è peggio, qualcuno lo sconsiglia perché è più facile imparare ascoltando, tanto “con l’Iphone si fa tutto”.
Senza visioni o sentimenti nostalgici, la maestra Mirella, tutte le settimane ci faceva dettati e ci costringeva a leggere pagine e pagine perché sennò all’interrogazione facevamo figuracce e il 4 o il 5 non ce lo toglieva nessuno.
Alle medie poi è arrivato il Professor Nazzareno, che rincarava le dosi con i temi da scrivere e i capitoli di storia e di antologia da leggere.
Che pomeriggi a leggere il Petrarca, il Leopardi, il Pascoli o a studiare il medioevo o la rivoluzione industriale!
Non avevamo lettori o insegnanti di sostegno ma la tavoletta braille per scrivere e tanti libri da leggere.
Era diventata così un gusto la lettura, che alla sera ci addormentavamo con il libro braille sulla pancia ed erano libri di Salgari o Verne e, un po’ più avanti, di Boccaccio e Platone.
I dirigenti dell’Unione Italiana Ciechi che imperversavano in Veneto erano Enzo, Francesco e Ferruccio e tutti non transigevano sul fatto che il braille si doveva conoscere non bene ma benissimo e non avvertivano il bisogno di fare simposi o convegni.
All’epoca in cui ero giovanetto, tanti ciechi erano insegnanti, avvocati, massofisioterapisti e poi ci siamo aggiunti noi, un bel gruppo di programmatori.
Provo l’amaro in bocca a pensare che i nostri strumenti erano la tavoletta braille, per i più fortunati la dattilobraille , un registratore e poi, le valigiate di libri che ci arrivavano da Monza o dalle altre biblioteche e nulla più.
Ora, ogni anno, come si fa con i morti illustri celebriamo il Braille e chi racconta di quest’araba fenice è il primo a non usarlo o ad aver fatto ogni cosa per decretarne la morte.
Davide Cervellin