“L’educazione all’autonomia la intendiamo così”

Radunare un gruppo di ragazzini con età inferiore ai sedici anni per passare un paio di settimane insieme in montagna. “Grande idea!”, sentiamo già ironizzare da parte dei soliti soloni, “lo fanno in tanti. Sarà mica originale!”. E invece sì: diciamo che è originale. Ovvio, non è originale il fatto che si raggruppino ragazzi per le vacanze estive. Mentre scriviamo il ricordo corre come il vento ai nostri anni giovanili, quando allievi dell’istituto Configliachi di Padova, ma anche di molti altri istituti italiani per ciechi, venivano ospitati per tre turni nella colonia di Asiago. E si ricreava esattamente lo stile dell’istituto: la suora che ci portava a camminare lungo le strade e i viottoli di montagna, che ci raccontava le storie o ci leggeva i romanzi, seduti per terra su un tappeto di aghi di pino, i giochi con i coetanei. Esattamente come in istituto, con la differenza che accanto ai tuoi compagni del resto dell’anno avevi quelli provenienti da altre città e da altre esperienze. Fine del ricordo personale e ritorno ai giorni nostri. Erano nostri anche quelli precedenti, ma si sono dissolti con il vento del tempo che soffia via tutto. Ai giorni nostri di oggi fioriscono i soggiorni estivi, con più di un vulnus, se ci è concesso: o ricreano le condizioni dell’istituto (anche se l’istituto non c’è più) o comunque sono (ci scusiamo per il termine) socio-assistenziali. Tradotto: i ragazzi vengono seguiti passo passo in un rapporto che non definiamo asfissiante per non apparire catastrofici, ma in un certo modo ossessivo, ritmato da operatori ed assistenti vari. Simili soggiorni un vantaggio lo hanno di sicuro: sono rassicuranti per i genitori, che sono protettivi ed apprensivi nei confronti delle loro creature. I soggiorni che piacciono a noi sono più liberi: lasciano molto all’autogestione, che significa autonomia, ossia ciò che dovrebbe rappresentare l’imperativo categorico di un disabile. Il caso Fondazione Lucia Guderzo è emblematico: non lo diciamo per interesse di bottega, ma perché i risultati sono lì a dimostrare che quella è la strada giusta da percorrere. Dodici ragazzini, sei maschi e sei femmine, hanno passato un paio di settimane sulle montagne del Tesino, al confine fra Trentino e Bellunese. Attenzione: dodici ragazzini normali. No, non abbiamo la puzza al naso se crediamo che un soggiorno che punta sulla ricerca dell’autonomia non possa ospitare persone con disabilità aggiuntive. Siamo convinti che (fuori dai disastri del politicamente corretto) si debbano perseguire obiettivi precisi. E’ scorretto pensare che un pluriminorato non possa condividere un progetto con un ragazzo che di deficit ha solo la vista? E’ scorretto pensare che disabili con il solo deficit della vista e loro coetanei con disabilità aggiuntive sono attori che devono recitare su palcoscenici diversi, perché se stessero insieme si danneggerebbero a vicenda? Venendo al soggiorno della Fondazione Guderzo, assistenza ridotta all’osso: una coordinatrice (encomiabile, sempre presente Daisy), un operatore (Riccardo) e poi tanti ospiti con cui dialogare, a cui chiedere informazioni, consigli e opinioni. Professionisti di vari settori, ma anche ospiti che conducono una vita lavorativa normale pur avendo un deficit visivo. Autogestione non significa lasciare al caso o alla buona volontà il programma: significa ragionare insieme sul da farsi, ma anche sui comportamenti collettivi ed individuali. Non per niente c’è il “filò” serale, in cui si conversa, si programma, si discute sulla giornata passata e, perché no?, si tira fuori quel che si deve tirare fuori, critiche e rimproveri compresi, se serve. Il soggiorno con obiettivo l’autonomia diventa un luogo di confronto anche sulle piccole (ma poi sono tanto piccole?) questioni quotidiane: tagliare le patate e i pomodori, separare l’albume dal tuorlo in un uovo (per rimanere sul collettivo), allacciarsi le scarpe (per entrare nel personale), intrattenere relazioni interpersonali (per scivolare nell’intimo). Insomma, qui c’è la vita vera di una piccola comunità. Soggiorno concluso con un concertino di piano e flauto, ma soprattutto con un dibattito fra i partecipanti, sereno e maturo, di ragazzi che hanno preso coscienza della loro situazione e che (bisogna dirlo, non era scontato) desiderano prenotarsi bell’e subito per la prossima estate.

di Giuliano Beltrami – Giornalista del quotidiano “L’Adige” di Trento

 

Lezione di informatica con l’utilizzo di un videoingranditore

“L’autonomia si impara fra le balle di fieno”

Anche quest’anno la Fondazione Lucia Guderzo ha voluto impegnare risorse ed energie nell’organizzazione del campo estivo dedicato alla ricerca di autonomia per i ragazzi ciechi o ipovedenti. Il campo si è svolto nel comune di Castello Tesino, in una splendida baita immersa nel verde. Quando sono andata per la prima volta a salutare i ragazzi ho avuto un attimo, solo un attimo, di sincero smarrimento e stupore: al nostro arrivo, infatti, qualcuno saltava e giocava tra le balle di fieno, mentre altri, in casa, si dedicavano alla preparazione della cena. Lo spazio verde intorno alla baita, ampio e modellato in posti in piano intervallati da salite e discese più o meno aspre, è ideale per consentire ai ragazzi di fare esperienza di orientamento in luoghi aperti. I dislivelli, infatti, possono rappresentare una difficoltà ma solo all’inizio, diventando poi buoni punti di riferimento per consentire a ciascuno di costruirsi la propria mappa personale. I ragazzi, tutti entusiasti dell’esperienza, mi hanno raccontato della loro gita a Venezia, del bagno nel bio-lago, una sorta di piscina naturale disinfettata senza l’impiego di cloro, delle loro esperienze in cucina, della loro felicità nello stare insieme, nonostante le esperienze e i percorsi diversi di ciascuno. Chi è bravo con l’informatica spiega quello che sa agli altri, e così via per le altre attività necessarie o ricreative. I ragazzi si aiutano tra loro e scoprono che non sono sempre solo destinati ad essere quelli che vengono aiutati, ma possono e devono anche mettere a disposizione i loro saperi ed il loro saper fare per gli altri. In generale la soddisfazione che provano nell’aiutare è grande e il fatto che un altro sappia fare una cosa nella quale loro non sono esperti li stimola a provare, a fare, a mettersi in gioco. Tra loro è un continuo confronto, non una competizione, ma il continuo e sano voler imparare dagli altri ciò che non si sa ancora fare, insegnando poi quello che si padroneggia meglio, nella consapevolezza che se un altro ragazzo cieco o ipovedente riesce a fare una cosa allora si può fare e si deve provare a farla. Qualche giorno dopo ho avuto l’occasione di visitare insieme a loro il Museo delle Scienze di Trento. Come è e come non è non ho portato il cane guida all’interno del museo e mi sono resa conto solo dopo averlo lasciato che avevo dimenticato il bastone bianco. Confesso di essermi sentita persa senza cane e senza bastone, ma subito i ragazzi hanno proposto varie soluzioni: chi mi voleva prestare il suo bastone, chi si è offerto di accompagnarmi, insomma io, che dovevo essere quella preparata a tutto e pronta ad offrire soluzioni, ero in difficoltà, mentre loro, che erano lì per imparare l’autonomia, non si sono persi d’animo e hanno offerto non una ma più possibilità.
La visita del museo è stata un successo, come del resto l’intero campo scuola. Ho visto ragazzi entusiasti di fare, genitori stupiti e fieri delle potenzialità e possibilità dei loro figli, organizzatori stanchi ma ragionevolmente soddisfatti dei risultati portati a casa.

di Antonella Cappabianca, dirigente Ordine dei Medici di Roma

 

La ragazzi in un momento di svago

“Le balle di fieno”

E’ finito ormai il tempo delle ferie agostane e mi sovviene quel tardo pomeriggio di fine luglio quando arrivando sui prati tagliati di Col Bellotti in località Baia di Lamon (Belluno) sono stato sorpreso dal vociare gioioso dei nostri ragazzi intenti ad arrampicarsi sulle grandi balle di fieno profumato che il contadino Giorgio aveva imballato il giorno prima raccogliendo il fieno secco dalla valle. Un esercizio quasi primordiale a scalare questi grandi cilindri saltando, ruzzolando a terra e poi ergendosi in piedi sulla sommità alzando le braccia al cielo. Altro che psicomotricità su un tappetino al chiuso di una palestrina! Altro che esercizi da didattica “psicoscientifica”! Qui siamo di fronte a ragazzi che con naturalezza vivono per qualche istante un momento autentico di libertà dimenticando le costrizioni e i limiti della cecità. A stare con loro qualche ora ho avuto la netta sensazione di quanto conti il carattere, l’intraprendenza, l’intelligenza, la curiosità, prima ancora dell’handicap visivo. Mi sono reso conto, ancora una volta, di quanto sia sbagliato anteporre l’handicap a tutto il resto nella costruzione e nello sviluppo della personalità dei nostri giovani. Il campo scuola 2023 mi ha rivelato ancora una volta la verità di alcuni assiomi come quello che ha più facilità a vivere bene e chi si sa adattare perché l’adattamento è una condizione primaria per stare bene. Al campo scuola c’è stato chi privilegiava le attività in cucina, chi sapeva pulire e tenere in ordine la casa, chi smanettava più facilmente con il computer, chi amava la lettura o chi preferiva svolgere attività manuali come preparare la legna da ardere, fare il bucato eccetera. E questa non vi sembra normalità??? Un ragazzino di undici anni ha saputo affrontare con perspicacia e spirito pratico il problema dell’intasamento del water causato da una ragazzina che aveva fatto cadere all’interno un rotolo di carta. Si è infilato un sacchetto sul braccio, ha tolto il rotolo che ostruiva e hoplà risolto il problema senza dosi massicce di soda caustica o l’intervento di un idraulico. Ecco l’intelligenza pratica! La capacità e il coraggio di affrontare i problemi cercando le soluzioni. Un’altra ragazzina invece erroneamente considerata solo cieca non si è saputa adattare. Nonostante i suoi dieci anni non voleva vestirsi e lavarsi da sola, non voleva fare nulla di quello che facevano i suoi compagni e continuando ad evocare la mamma diceva che era meglio il campo scuola dell’Irifor dove si va con i genitori. Così dopo solo una settimana gli organizzatori, proprio nello spirito dei principi ispiratori della Fondazione Lucia Guderzo, hanno invitato i suoi genitori a venirla a prendere per non creare delle dissonanze nello svolgimento delle attività degli altri undici ragazzi. Lasciando il campo, mi ha commosso Alessandro, un ragazzo cieco assoluto di tredici anni di Mantova che abbracciandomi mi ha ringraziato per avergli dato l’opportunità di scoprire che, nonostante la cecità, lui sapeva e poteva fare tante cose che fino a prima non sospettava nemmeno. Al campo scuola hanno partecipato come testimonial dei non vedenti che hanno contribuito a dare sicurezza e aumentare l’autostima nei ragazzi: Alessia massofisioterapista, Giuliano giornalista, Antonella avvocato, Stefania presidente scuola cani guida, Ferdinando direttore della Cooperativa Abilnova. Gli alpini, tante altre persone e organizzazioni hanno contribuito alla realizzazione di questa bellissima esperienza che pur essendo una piccola goccia nel mare infinito delle necessità di educazione e formazione, certamene ai pochi fortunati che vi partecipano ha fatto annusare il profumo autentico della libertà.

 

di Davide Cervellin – Presidente della Fondazione Lucia Guderzo

 

Momento di lettura assieme al presidente, Davide Cervellin